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Il treno del sole – Terza puntata

Terza puntata

In quel treno che correva lungo lo stivale, non lo sapevo, ma iniziavo il mio percorso di vita: la mia prima decisione autonoma, il mio primo distacco. Ma non certo il mio primo treno: dall’età di otto anni andavo a Pisa da sola due volte a settimana, e dato che gli stavo proprio “in bocca”, alla stazione, bastava attraversare la piazza, sui treni ormai ci vivevo.

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Il treno del sole – Seconda puntata

Seconda puntata

Alla tv la solita storia di crisi enunciata con la cantilena ormai tipica dei giornalisti, che un telegramma sarebbe molto più espressivo; la voragine che ha preso il posto del dente del giudizio non è la cosa migliore da sentirsi in bocca per la vigilia di Natale. E neppure l’influenza che cerca di colpirmi in un momento di debolezza è il massimo.

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Il treno del sole – Prima puntata

Racconto a puntate

 (31 dicembre 2011)

Prima puntata

Credevo di aver capito male, quando ho sentito la notizia del Treno del Sole. Lo tolgono. È bastato dare un’occhiata per avere la conferma. E per trovare un video che mi ha riempito di tristezza e di una bruciante nostalgia.

 Avevo circa diciotto anni, stavo frequentando il Conservatorio di Livorno per Armonia e Storia della Musica, già la mamma mi manteneva agli studi di musica privatamente, dalla più brava insegnante di Pisa, ci mancavano anche altre, di lezioni private!

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Sono troppo avanti!

Ho portato i volantini delle lezioni online in palestra dove faccio fisioterapia, e una delle operatrici nonché allieva per qualche mese li ha guardati a bocca aperta esclamando a gran voce: “Sei troppo avanti, troppo avanti!” e l’ha ripetuto più e più volte rivolgendosi quando ai pazienti in sedia a rotelle, quando a quelli col bastone, e a quelli sui lettini per i massaggi. In certi casi, credetemi, non si sa cosa dire: prevale l’imbarazzo.

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La musica della mia vita

Poi anche lui ha incontrato la luce, dapprima un lumicino lontano poi man mano dalla luce è stato avvolto; quella di un risultato che ad occhi profani sembra piccola cosa, ma senza di esso la vita di quello che hai di fronte sarebbe stata più buia. Uno solo è poco, ma ogni volta che insegni musica a qualcuno con il cuore, ogni volta che incontri lo sguardo pieno di stupore di chi pensava che fosse troppo tardi, ogni volta che entri nel mondo dei suoni prendendo qualcuno per mano e condividi, la tua vita si riempie di pietre preziose. E non te ne accorgi se non quando guardandoti intorno ti ritrovi a nuotare nella luce dei diamanti.

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Didattica musicale: non sai quel che perdi!

In ogni materia scolastica, la didattica si è evoluta, almeno nei secoli.

 Esempio? Scuole elementari: prima aste e quadratini, poi metodo globale. Basta questo esempio, dato che è un linguaggio, anche quello parlato (e scritto). E quello musicale cos’è? Non è forse un linguaggio anch’esso?

 Eppure l’ho capito subito, anche se ero molto piccola quando iniziai a studiare musica, che non era tanto normale che io studiassi allo stesso modo della mia insegnante, dell’insegnante della mia insegnante, dell’insegnante dell’insegnante della mia insegnante… ecc.

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Avatar

Non so perché sono passata proprio lì davanti, ieri. Non dovevo essere a Lucca. Se proprio c’ero, dovevo affaccendarmi in altre faccende. Invece inforco la bici e via all’ipersoap, poi a prendermi tre paia di calze non sapendo che il giorno dopo sarebbe arrivata l’estate all’improvviso. E già che ci sono prima del giro di mura tanto sono in bici con il libro da leggere e il cellulare per la musica e l’arrivo al caffè San Colombano, quasi quasi chiedo al noleggiatore se mi dice il prezzo della pedalata assistita. Per farlo passo davanti al centrale… la parola mi arriva con qualche secondo di ritardo: AVATA…RRRR… iiiihhhh… frenata…. torno indietro: solo stasera. Sarò stata l’unica che non l’ha visto. Ho il dvd, ma l’ho guardato per pochi minuti: l’ho capito subito, che “o 3D o niente”.
Questa volta non mi scappa.
Ero lì mezz’ora prima, dopo essermi strappata a stento da una telefonata importuna.
Mi accomodo con comodo. Sistemo il cellulare, controllo la chiavetta della bici.
Inizia.
Ed io sparisco. Mi ritrovo tre ore dopo, verso mezzanotte, a rialzarmi a stento dalla poltroncina: mi dispiaceva troppo, lasciare Pandora. Dopo aver volato sugli Ikran, e perfino sul Leonopteryx per gli amici Toruk, dopo essermi gettata dalle montagne fluttuanti e immersa nell’energia di Eywa la Grande Madre, schivato pallottole e lottato insieme ai Na’vi, devo tornare al mio povero corpo umano: la bicicletta è più leggera del solito, o forse sono io che ancora non sono tornata del tutto.
Mi rifugio nel letto aspettando di trasformarmi in “donna che cammina nei sogni” e chiudo i grandi occhi. Gialli.

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Tutta colpa della Musica

Avevo quattro anni quando la Musica mi ha chiamato; giuro, ho cercato più volte di allontanarmene, ma ormai sono intossicata… ed ogni volta che credo di essere alla fine mi ritrovo a proseguire persino con più forza. E non è colpa mia: è colpa della Musica. In chiesa poi, ci dev’essere qualche spiritello dispettoso: anni fa ero qui a Lucca il 15 di agosto, e Monsignor Bachini si lamentava che non c’era nessuno a cantare, nessuno a suonare, mancava la musica… e lo spiritello – che somigliava tanto alla mia vecchia insegnante – mi sussurrava all’orecchio “diglielo, Daniela, diglielo!” “sss…” “E vai!!!”.

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Un angelo con la quinta elementare

Ho conosciuto una donnina stamani, di 76 anni, magrissima e un po’ curva, capelli corti e bianchi. Non si nota nemmeno, finché non ti dicono chi è: una missionaria laica, 31 anni in Ruanda. Io a fare gli esercizi, lei i massaggi distesa sul lettino; la mia stessa fisioterapista, una moretta ricciuta con occhi brillanti e verdi, una vera bellezza che mi fa sospettare sempre che gli uomini siano proprio ciechi. E non parlo del fascino esteriore: è grazie a lei, ai suoi colleghi e al Centro se in quel villaggio del paese tristemente noto sperduto nel cuore dell’Africa, hanno un asilo. Lo mantengono con spettacoli di beneficenza, con lotterie, e insomma ogni occasione è buona.

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Puzza perché è un ospedale

C’è in me una tale valanga di indignazione che non riesco a farvi ordine, non vedo altro che le braccia lunghe e ossute di mia madre protese verso di me: “Portami via!”. Non c’è niente da fare, cavallo bianco, prenderla al volo dal suo letto con le sbarre e volare verso il cielo fra nuvole di ovatta….

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