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Sono troppo avanti!

Ho portato i volantini delle lezioni online in palestra dove faccio fisioterapia, e una delle operatrici nonché allieva per qualche mese li ha guardati a bocca aperta esclamando a gran voce: “Sei troppo avanti, troppo avanti!” e l’ha ripetuto più e più volte rivolgendosi quando ai pazienti in sedia a rotelle, quando a quelli col bastone, e a quelli sui lettini per i massaggi. In certi casi, credetemi, non si sa cosa dire: prevale l’imbarazzo.

 Ma i giorni passano, e quelli dal forneriano “choosy” sono già due o tre. Che c’entra? Ora mi spiego, con calma. Prima di tutto, non c’erano proprio altri termini? Già ne buttiamo via tante di parole italiane per far posto a termini inglesi di cui non conosciamo neppure a fondo il significato, così non sappiamo parlare più né inglese né italiano; ma l’esempio ci deve proprio venire da un ministro? di quelli che parlano sempre tanto forbito? Di quelli che in Sardegna dicono “non mi toccheggi che mi cagheggi”(quando ce vo’ ce vo’!!)? Choosy???? Vallo a dire agli operatori di call-center, che ti ritrovi la cornetta sai dove… Io un son per niente ciùsi, ma chissà dove finivo senza la pensione di mio marito!

 Perché sono avanti? Era il 1978 almeno, quando dicevo a mio marito (ora ex) che “il lavoro fisso non esiste più”, che “qui bisogna darsi da fare con l’inventiva”, e infatti io inventavo scuole di musica e lui si “inventava” il posto fisso che non ha più lasciato passandolo poi al figlio maggiore a cui predicavo le stesse cose (lasciamo perdere il predicare che è meglio). Il minore invece ha seguito i miei consigli, infatti ora lavora in proprio e viene pagato quando gli pare. A loro. Cioè quasi mai.

 Ma io sono avanti….

 E andando di avanti in avanti, arrivo ai primi anni ’80.

 Non vi voglio così male da raccontarvi come ci ero arrivata, ma mi trovai su uno yacht che io proprio non capivo perché chiamassero “barca”, che le barche per me erano e sono quelle cose di legno con i remi e se vuoi andare devi remare, ma questa è un’altra storia, di proprietà di un personaggio romano molto in vista. La signora mi prende per un braccio e mi porta “di sotto” (mai sofferto il mal di mare, fino ad allora), e mi chiede a bruciapelo come la penso, in politica. Ci tiene proprio, e io lì cedo sempre: se vuoi sapere la verità non devi fare altro che chiedermelo. Loro di destra, io avevo anche qualche interesse a fare una buona impressione. Ma come dicevo, se me lo chiedono scatta la molla, e le parole escono prima che le possa controllare.

 “Vedi, io sarei di sinistra, ma con tutto il cuore, perché io amo la cosiddetta sinistra e la sua ideologia. Voglio dire che “sono” di sinistra, ma se mi dici la sinistra dov’è!”.  Primi anni 80. Ancora si parlava di comunismo. Ma io ero troppo avanti…

 Faccio un bel balzo all’indietro: primo amore. Di quelli che non si scordano mai, mai. E non sapete quanto. Ricordo i suoi occhi la sua bocca il suo sorriso, se lo rivedo lo riconosco fra mille… lasciamo perdere anche questo.

 Al nostro primo incontro mi porta sul lungomare a Tirrenia, mi dà timidamente la mano mentre io arrossisco fino alla punta dei capelli (minuto di raccoglimento), e per conoscermi meglio mi chiede “cosa ho intenzione di fare da grande”. E siccome io non resisto alla richiesta di verità, come dicevo sopra, direttamente dal cuore mi uscì “Vorrei fondare un partito nuovo, non come quelli che ci sono ora, ma che pensasse veramente al bene delle persone e non al proprio”. Mi girai e trovai un volto fra lo stupito e l’ammirato, ma con i complessi di inferiorità che avevo non colsi la vera matrice dell’espressione. Non lo sapevo, che ero già troppo avanti.

 Fino ad arrivare al metodo, che da pochi mesi ho ribattezzato “Limus”. Nell’85 non ne avevo nemmeno la più pallida idea, di dove sarei arrivata da un’intuizione. Da 1985 a 2012 quanti anni ci sono? Risposta esatta! Ancora sono qui a cercare di far accettare una rivoluzione nel campo della didattica musicale paragonabile a quello che ha fatto il metodo globale nella scuola elementare, e solo da poco tempo non mi viene il dubbio di avere fatto una cazzata. Nonostante il metodo lo definissero “geniale” il direttore della Ricordi, Farulli e tanti altri.

 Ho usato software musicali quando ancora nessuno ci pensava (e il bello è che nessuno ancora ci pensa); quando (sempre) non ci sono pubblicazioni che soddisfino le mie esigenze me le invento. Ho insegnato ad amare la musica. A amarla, capito? Cioè a capirla e quindi amarla.

 E cosa faccio ora? Distribuisco volantini. Quelli che rispondono non si staccano più, si creano delle amicizie che solo la morte può rescindere, e nemmeno quella. Tranne un numero esiguo di persone però, gli altri non sanno che la musica non è un marasma di note distribuite fra righi e spazi che poi vanno rimescolate e poste in fila, in ordine, inficiando tutto il lavoro precedente: per questo sto ancora combattendo, partorisco idee ogni giorno (mio marito quando esclamo “ho avuto un’idea!” non per niente impallidisce), cerco l’aggancio per la divulgazione che un giorno troverò, ne sono certa, basta aspettare che mi arrivino. Perché io sono avanti, troppo avanti…

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