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Non se ne accorse nessuno

Me lo chiedono così spesso, del Vietnam… fa così stupore, quella mia avventura… che quasi quasi mi intervisto da sola!

La mia meraviglia per questo interesse è comunque grande: mi sembra che oggi ci siamo abituati ad ogni tipo di notizia, dalla più strana alla più truce, e alla ricerca continua del “sensazionale”, abbiamo così abbassato la soglia della decenza e alzato quella della sopportabilità, che via, un complessino di donne nel ’68 che va nel Vietnam in guerra e che non è stato notato allora, perché ora sì?

Eppure, un perché c’è. Oppure, le novità si capiscono trent’anni dopo. E non è mica un’ipotesi da scartare, sapete?

Io ero un’ingenua di prima lega, a vent’anni non sapevo niente del mondo… ma forse proprio per questo mi venivano spontanei dei ragionamenti semplici che menti più elaborate non riuscivano neppure a concepire, anzi saltavano a pie’ pari.

Ad esempio, io me ne accorsi subito che il fare solo brani per cantante solista ci avrebbe precluso una carriera da complesso: per le mie compagne, passavo da invidiosa. Oddìo, la voce di Rossella era la più bella che avessi mai sentito, la chiamavano l’Aretha Franklin italiana, ma un complesso femminile era UN ALTRO PAIO DI MANICHE. Appunto, “femminile”: era il ’68, gente, e l’anno prima era il ’67 (a volte si dice!); anni in cui faceva scalpore Mina che procreava al di fuori del matrimonio, l’abbiamo presente? Eppure, quando al direttore della casa discografica che volle solo la cantante Rossella chiesi se per caso aveva presente la portata della novità, cinque ragazze che suonavano e anche benino, la sola risposta fu “Ma lei vuol dire forse che io nel mio lavoro non ci capisco niente?” Risposi un bel “Sì”, ma non ci guadagnai nulla, se non una porca soddisfazione.

E sempre io, che in Vietnam ci ho fatto il ’68, me ne sono accorta dieci anni dopo. Ma c’è chi non se ne accorgerà mai.

Era il 1978 quando mi capitò fra le mani la copia del mio diario, che fortunatamente mia madre aveva battuto a macchina: lo lessi d’un fiato, trovandomi alla parola “fine” con il volto coperto di lacrime. E ce lo vidi subito, un libro. E un film. Pensa un po’, per il libro ci sono voluti più di vent’anni, e il film? Postumo, postumo.

Ho girato TUTTI gli editori, pefino quelli americani, e ne ho sentite di risposte, ma la più bellina era che “il Vietnam è passato di moda, signora, non lo sa? Nessuno ne vuole più sentir parlare!” Si vede che tutti i registi e gli scrittori che hanno vissuto di Vietnam, non lo sapevano. Non li sto ad elencare, poi sennò mi chiudono il sito perché è troppo pesante! E io lì a soffrire, al primo film sul Vietnam balzai sulla poltrona e spensi il televisore, tremante di emozioni diverse; poi è stata una pioggia. Mi sembrava di averlo inventato io il Vietnam, ma come si permetteva questa gente…? Dov’erano quando io, cercando un titolo per il diario, incappai nel lamento del Vietcong e mi misi a gridare “Ciòiòi, ciòiòi!!!!” per tutta la casa, spaventando a morte i familiari? Perché, quando scrivevo del colpo di cannone in nostro onore: “BOOOMMMM!!!” e ci fu un tuono a ciel sereno, forse un “bang” d’aereo, che spaventò tutta Sassari (vivevo là), e mi trovai in mezzo alla stanza per terra con la sedia arrovesciata? Che rende l’idea più di “rovesciata”?

Solo “Good morning Vietnam” riuscii a vederlo, piangendo come un vitello. Quello nel “mio” Vietnam mi ci riportava; gli altri no, ché mi sembrava, il Vietnam, di conoscerlo solo io. Il “mio” Vietnam che risentivo all’improvviso quando una combinazione di odori, fumo di sigaretta e birra mi faceva socchiudere gli occhi: “Il Vietnam!!!” sussurravo, e lo assaporavo ancora.

C’erano state anche le altre, con me? Eppure, Manuela non vuole più sentire parlare di “Stars”; Franca, l’ho rivista due volte in 35 anni: lei, che è stata in ospedale a Chu Lai, in fin di vita, ce la siamo dimenticata. Viviana e Rossella non hanno tappezzato di Vietnam la loro scuola di musica. E solo io, che avevo vent’anni e non capivo nulla, che in Vietnam ci ho lasciato la valigia con tutti i ricordi, combatto per ricordare questo paese lontano il cui nome – non so perché – sento sempre con tanta nostalgia. C’è stato un momento in cui mi sono scoraggiata, ma tanto: allora ho preso quel blocchetto, l’originale, e l’ho messo nelle mani di Saverio Tutino, l’ideatore dell’Archivio Diaristico Nazionale: e quello che credevo finito, è cominciato allora.

Cosa mi ha dato il Vietnam non lo so bene, ma fatto è che quei tre mesi mi hanno cambiato la vita, mi hanno fatto vivere gli anni seguenti centellinando il ricordo e in un’ottica diversa – me ne accorgo – da gran parte della gente. Di quelli che sanno tutto sulla guerra e nessuno gli ha mai sparato addosso, che misurano i morti con bilance truccate e non hanno mai guardato una donna bruciata dal napalm con il bambino in braccio. Non hanno mai sentito chiedere a un soldato ferito l’indirizzo di casa prima che muoia, non hanno mai visto un Vietcong con un cerotto sulla bocca perché si lamentava… vincitori o perdenti… tutti uguali. Di quelli che per “appartenenza” (e questo la dice lunga) a un partito si scordano di avere idee proprie, e per i quali a suonare per gli Americani ci siamo andate perché ci piacevano tanto e, soprattutto, noi a rischiare la pelle ci si godeva, e pontificando senza documentarsi mai, non si sono accorti che siamo piovute in Vietnam per un errore madornale. Valeva la pena di crescere in tre mesi, a loro dico, per volare più in alto.

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